Descrizione
Sant'Agata di Militello (Sant'Àita di Militieddu in siciliano) è un comune italiano di 11 857 abitanti ricompreso all'interno della città metropolitana di Messina in Sicilia.
Dista circa 100 km da Messina e 130 da Palermo. Su 108 comuni è il settimo della città metropolitana per popolazione dopo Messina, Barcellona Pozzo di Gotto, Milazzo, Capo d'Orlando, Patti e Lipari. Importante centro per il settore terziario amministrativo, grazie alla strategica posizione geografica ha una forte vocazione turistica e commerciale rappresentando il "capoluogo" del comprensorio dei Nebrodi.
La cittadina divenne comune autonomo nel 1857, grazie a un regio decreto di Ferdinando II delle Due Sicilie.
È un comune del Parco dei Nebrodi, ed è la sede dell'ufficio di presidenza dell'ente parco ospitata nei locali dell'ottocentesco palazzo Gentile.
ORIGINI
Risalire alle origini dell'abitato non è compito semplice, in quanto si deve partire addirittura dall'età del bronzo ove si pensa che vi possa essere stato un villaggio sulla sommità del monte Scurzi; come accertato da numerosi scavi effettuati che hanno portato al ritrovamento di ceramiche e altri suppellettili databili proprio in quell'era.
Con l'arrivo dei Greci si ipotizza che l'attuale territorio cittadino possa aver fatto parte della chora di Alontion, Agatirno o Apollonia. Quel che è certo è che con la venuta dei Romani (III secolo) si insediarono diversi villaggi rurali sulla costa, ove i terreni erano più fertili e pianeggianti.
Numerosi sono i ritrovamenti antichi quali la lapide marmorea dedicata a Canino Aniceto o di altri blocchi e ceramiche sempre di epoca romana ritrovate vicino all'odierna stazione ferroviaria.
Con la caduta dell'Impero romano il territorio continuò a essere abitato e coltivato, sempre in maniera rurale, per scopi agricoli. Ma presto le coste divennero luoghi insicuri per via delle scorribande turche e pertanto abbandonate. Un nucleo urbano, a cui appartenne il territorio comunale è quello di Melitum (XII secolo) presidio di difesa normanno; la descrizione attenta e minuziosa che riporta il geografo arabo Al-Edrisi della marina di San Marco, l'antica Aluntim per l'appunto, è di un territorio particolarmente rigoglioso e dedito alla agricoltura di sostentamento.
PERIODO FEUDALE
Nel 1371 la baronia di Militello è assegnata a Vinciguerra d'Aragona da Federico IV d'Aragona, già appartenente al padre Sanciolo d'Aragona. La storia cittadina si sviluppa attorno alla "Torre della Marina", una struttura d'avvistamento costiero edificata nel XIII secolo per servire la medievale Militello Valdemone. Nella seconda metà del Cinquecento quando i viceré spagnoli incaricarono i Camiliani di fare la ricognizione dei litorali la torre fu giudicata insufficiente e vi fu aggiunto un "fortino". Signori della città furono gli appartenenti alla famiglia d'origine aragonese dei Gallego che edificarono il castello costruito sul feudo della "marina". Nel 1573 in concomitanza con l'edificazione nacque il primo nucleo abitativo su cui la famiglia Gallego ottenne la signoria.
Nel XVII secolo il borgo di Sant'Agata era compreso fra le terre baronali appartenenti al principe di Militello, il quale nel 1627 assunse anche il titolo di Marchese di Sant'Agata. Nel 1628 don Vincenzo Gallego ottenne la licenza di edificare il palazzo intorno alla torre e nel 1663 suo figlio Luigi, nominato Marchese e poi Principe di Sant'Agata, fece costruire il castello, a presidio della costa, per concessione del re Filippo IV che nel 1657 gli concesse la licenzia populandi per promuovere il futuro insediamento urbano del piccolo borgo marinaro attorno a esso.
Il castello Gallego articolato intorno a un'alberata corte quadrata, ingloba le torri cilindriche di età medievale. Sull'ampio prospetto ornato da classici finestroni, si apre il fornice d'ingresso, difeso in passato da ponte levatoio. Dal cortile si accede agli ambienti destinati a scuderie, magazzini e abitazione dei servi. Da una scala a chiocciola si sale al piano nobile, con gli appartamenti del principe, da cui si accede alle torri e ai terrazzi.
AUTONOMIA
All'indomani dell'abolizione del feudalesimo, avvenuto con la Costituzione siciliana del 1812, il centro costiero fu scelto come nuova residenza dalle più importanti famiglie aristocratiche dei paesi collinari dei Nebrodi; quest'ultime costruirono i loro palazzi di rappresentanza seguendo lo stile imperante di quell'epoca ovvero il neoclassicismo e in seguito utilizzando gli stilemi eclettici dell'Art Nouveau. Oggi questi edifici rappresentano l'esempio tangibile dell'importanza economica e politica che S. Agata seppe ritagliarsi durante tutto il XIX secolo.
Tra i più sfarzosi di essi vi sono i palazzi della famiglia Zito, discendenti per via matrilineare dai Filangeri conti di San Marco, i palazzi della famiglia Faraci baroni del Prato, i palazzi e le ville della ricchissima e aristocratica famiglia Ciuppa d’Alcara, i palazzi della nobile famiglia dei Cupitò di Militello, esempio di architettura eclettica presente nella cittadina è il palazzo dell’aristocratica famiglia Gullotti di Ucria, il palazzo della famiglia Bordonaro e il palazzo dell’ambasciatore Giuseppe Gentile (oggi sede del Parco dei Nebrodi).
La famiglia Zito edificò i suoi palazzi nel quartiere attiguo alla Chiesa madre, i baroni Faraci intorno al castello e sulla prospiciente via Roma, i Gullotti, Cupitò, Ciuppa e i Bordonaro sulla via Nazionale. I palazzi nobiliari santagatesi oltre a connotare elegantemente il centro storico della cittadina, sono i testimoni di un vero e proprio laboratorio di straordinario interesse architettonico.
ESPANSIONE DEMOGRAFICA
Un consistente incremento demografico si ebbe solamente in seguito all'autonomia amministrativa ottenuta dal centro collinare di Militello Rosmarino, grazie a un regio decreto datato 1º gennaio 1857, per concessione di re Ferdinando II delle Due Sicilie; il primo sindaco a firmarsi come primo cittadino del centro costiero fu don Salvatore Zito nel 1847. Allo sviluppò economico contribuì in maniera decisiva la costruzione della strada rotabile Palermo-Messina, così come alla fine dell'Ottocento rivestì un'importanza fondamentale la costruzione della ferrovia.
S. Agata si andò via via a ritagliare uno spazio sempre più importante tra i centri dei Nebrodi, diventandone de facto il "capoluogo" amministrativo ed economico; questo fece sì che la popolazione proprio in questi anni aumentasse considerevolmente.
Sul finire del XIX secolo si assistette alla costruzione del Duomo, dedicato a Santa Maria del Carmelo, alto 22 metri, profondo 38 metri e alto 16. In stile neoclassico, presenta tre navate in tre absidi. Progettista fu l'architetto Leone Savoia, ingegnere capo del Genio Civile di Messina. All'interno ci sono delle finestre alte 2,40 metri. I primi rifinimenti interni furono eseguiti dai fratelli Benedetto e Basilio Arcuri. Le decorazioni del tetto vennero eseguite da Antonio Gattuso di Palermo, mentre le mattonelle del pavimento, donate per devozione dal signor Carmelo di Paola. La parte più antica della chiesa è la splendida Cappella del Sacramento, arricchita da sontuosi altari barocchi a intarsio marmoreo. All'interno, ci sono vari quadri e statue antiche. Innanzitutto la statua di San Giuseppe, la più ricca e preziosa dell'edificio, conservata nell'omonima cappella, costruita nel 1800 da un artista palermitano, il Bagnasco e portata in processione in occasione della festa patronale. Vi sono, poi, i quadri della Pietà, della Madonna del Carmelo e della Madonna del Rosario, l'altare del Sacro Cuore, realizzato in stile barocco a Palermo, la Cappella del Sacro Cuore, commissionata a Parigi, l'altare con la statua dell'Immacolata, realizzata probabilmente dal Bagnasco. Degni di nota sono, infine, il fonte battesimale di fine Ottocento, l'organo realizzato da Pietro La Grassa nel 1870 a Palermo, la vetrata raffigurante la Cena di Emmaus, un mezzobusto su colonna e una lapide marmorea raffigurante due arcipreti santagatesi, Zappalà e Sancetta, i primi della parrocchia.
L'edificazione del salotto cittadino ovvero piazza Vittorio Emanuele, oggi rinominata in onore dello scrittore santagatese Vincenzo Consolo, è da datarsi proprio in quegli anni. Ben presto la piazza assumerà un importante ruolo di aggregatore sociale, divenendo palcoscenico di tutti gli avvenimenti sociali di rilievo della cittadina. Sul lato finale della stessa insiste un edificio dalle pregevoli linee neoclassiche ospitante il Circolo Dante Alighieri; quest' ultimo venne fondato il 27 settembre 1868 dai membri delle famiglie notabili del paese, inizialmente venne chiamato "Casino di campagna" o "Circolo dei Nobili”; assunse l'attuale denominazione alla fine della seconda guerra mondiale
TRA LE GUERRE MONDIALI
Trascorsi i primi anni del Novecento segnati dalla crisi economica che ebbe i suoi effetti più vistosi nel fenomeno dell'emigrazione verso il Nuovo Mondo, si arrivò all'entrata in guerra dell'Italia nel primo conflitto mondiale. Una situazione di profonda crisi era dunque quella che si presentava anche a S.Agata allo scoppio della Grande Guerra. I soldati santagatesi mobilitati per il fronte al 30 giugno del 1915 erano 220, senza contare quelli che vennero chiamati alle armi nel 1917 appartenenti ai cosiddetti “ragazzi del ‘99”. Al termine del conflitto mondiale, ben 85 furono i giovani partiti dal centro costiero e non più tornati; così come risulta dall'albo d'oro del ministero della guerra.
Lo stesso sacerdote don Giuseppe Zappalà, che in seguito divenne arciprete di Sant'Agata, all'avvio del conflitto fu dichiarato cappellano militare al seguito delle truppe italiane. L'ecclesiastico venne ferito nel 1916 da un colpo di artiglieria e pertanto espletò il suo servizio negli ospedali di Roma, rientrando in paese solo nel 1919 insignito del titolo di Cavaliere della Corona d'Italia.
L'omaggio che Sant'Agata volle dar ai propri caduti fu tributato con l'erezione nel periodo postbellico, durante la transizione tra l'Italia liberale e quella fascista, di un monumento che celebrasse il sacrificio di vite patito. Analogamente dunque a quanto avveniva in tutto il Paese, a Sant'Agata fu il comune a sostenere le spese della realizzazione dell'opera, collocandola nella piazza antistante il castello di fronte la stessa sede municipale. La statua in bronzo che raffigura il milite italico venne realizzata da Turillo Sindoni a Roma, la sua inaugurazione fissata per il 4 novembre 1922 avvenne in realtà il 22 aprile 1923; tale slittamento di date fu dovuto in realtà a un ritardo nella spedizione dell'opera da parte dell'artista.
Sant'Agata diventava nel tempo sempre più polo di attrazione culturale, commerciale e amministrativa dei paesi del circondario dei Nebrodi. Con il regio decreto del 28 gennaio 1929 di Vittorio Emanuele III veniva sancita l'unificazione dei comuni di Sant'Agata, San Marco e Militello Rosmarino, al fine di frenare il progressivo abbandono dei borghi montani.[9] Il nuovo comune prendeva nome e capoluogo “Sant'Agata di Militello”. La decisione suscitò però aspre polemiche, sino a degenerare in disordini pubblici da parte dei militellesi e degli aluntini. I politici santagatesi, e soprattutto l'on. Giuseppe Gentile e il commissario prefettizio dott. Vittorio Ravot, furono accusati di mire espansioniste al fine di creare la cosiddetta “Grande Sant'Agata”, nel sogno di farla ambire a capoluogo di provincia.[9] Il punto più alto della polemica fu raggiunto allorché il 16 aprile 1929 un gruppo di aluntini occuparono i locali del Palazzo Comunale aggredendo il commissario prefettizio. Dopo tre anni di dure polemiche e contrapposizioni politiche, con legge n. 1775 del 22 dicembre 1932 venne ratificata la fine del progetto che sancì lo smembramento delle tre comunità e il ripristino dei comuni autonomi. Lo scoppio del secondo conflitto mondiale arrestò il processo di sviluppo economico e sociale di Sant'Agata[9]. La liberazione dalle truppe tedesche avvenne nell'agosto del 1943 allorché le armate alleate, guidate dal gen. Patton, vi sbarcarono con l'intento di accerchiare i nemici attestati nelle colline di S. Fratello, per poi sbaragliarle a Brolo e costringerle a ripiegare verso Messina e nel continente.
DOPOGUERRA
Il dopoguerra fu caratterizzato da grandi fermenti sociali, economici, culturali: nel 1959 la cittadina contava già una popolazione di 10 915 abitanti e si dotava di diverse grandi opere grazie ai numerosi finanziamenti pubblici: tra essi l'ospedale, la scuola statale elementare Luigi Capuana, il lungomare, le Case popolari e la ristrutturazione urbanistica di diverse piazze e vie del paese. In quegli stessi anni anche il Banco di Sicilia sceglieva Sant'Agata come sede della nuova filiale.[9]
Tra gli artefici di questa ripresa fu Annibale Bianco, genero di don Paolo Ciuppa; la figura di Bianco, parlamentare all'Assemblea regionale siciliana e vice presidente della Regione Siciliana, fu ambivalente: infatti se durante il regime egli per contrapporsi al politico concorrente l'On. Giuseppe Gentile, ideatore del progetto di unificazione dei comuni, era stato uno strenue difensore dell'autonomia degli aluntini ora che era lui sindaco (1956-1960) proponeva la costituzione di un Consorzio di Comuni nella zona occidentale della provincia di Messina.
Il decreto legislativo del Presidente della Regione del 29 ottobre 1955 prevedeva la possibilità di creare dei consorzi che, di fatto, rappresentavano delle province regionali distinte da quelle statali già esistenti: la “provincia regionale”, o consorzio, infatti, non aveva le stesse esigenze delle province statali e non occorreva che il capoluogo ospitasse tutti gli uffici di Stato che si affiancano alle Prefetture. La legge imponeva che la circoscrizione superasse, con un margine di sicurezza, i minimi congiunti di 150 000 abitanti e di 26 comuni[9]. La delibera del Consiglio Comunale di Sant'Agata Militello, datata primo febbraio 1959 alla presenza dei sindaci di altri quattordici centri, gettava le basi per la costituzione della nuova provincia, comprensiva di trentatré comuni da Tusa a Piraino e a sud sino ai territori di Capizzi e Cesarò per una popolazione complessiva di 162 871 abitanti (secondo il censimento del 1951).
L'iniziativa alla fine naufragò, non riscuotendo il consenso unanime degli altri centri, in disaccordo soprattutto nella scelta del capoluogo: determinante fu anche l'opposizione della città di Patti, non rientrante nel progetto primitivo e che riuscì a far retrocedere dalla scelta diversi comuni costituendi, proponendo un consorzio alternativo molto più esteso a oriente e idoneo a favorire la sua scelta come capoluogo. La stessa definizione dei confini del consorzio creò inoltre problemi, a causa della contrapposizione tra le amministrazioni di diversa coloritura alla ricerca di meri vantaggi partitici.[10] Al di là delle legittime istanze dei comuni interessati, il progetto aveva una sua ragion d'essere. Per la sua posizione geografica e per la condizione raggiunta in poco meno di un secolo Sant'Agata, costituiva, ieri come oggi, uno dei pochi centri in tutta la zona capace di fare il giusto salto di qualità. Inoltre, poteva risultare particolarmente innovativa l'idea di un consorzio di comuni così da rilanciare l'economia e da candidarsi, magari in solido con i maggiori centri vicini, come pretendente naturale a capoluogo della "provincia dei Nebrodi".